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martedì 17 gennaio 2012

Schettino

Schettino, il capro espiatorio non libera tutti Davvero c’è un solo responsabile della catastrofe? E che bisogna fare per evitare che si possa ripetere? Mai come ora bisogna avere il coraggio di dirlo: se la tragedia della Costa Concordia deve insegnare qualcosa a questo paese (e a tutti noi) non può essere solo la favola feroce e consolatoria del capro espiatorio, il pericolo pubblico, il matto solitario che libera con la catarsi della sua colpa le coscienze e le responsabilità di ognuno. Nessuno può essere solo, e messo in condizione di far danno, soprattutto se regge sulle sue spalle 4.000 vite. Nessuno può più agire in modo così arbitrario, anche se è del tutto fuori controllo.

Il capitano Schettino, ovviamente, ha fatto del suo meglio per disonorare il suo grado. Ha avuto una condotta colposamente criminale e omicida. L’Italia, grazie a lui, ripiomba improvvisamente nello stereotipo del latinismo cialtrone, con la macchietta del gradasso che innesca una catastrofe per una bravata. Il capitano Schettino ha messo a rischio vite umane per un azzardo goliardico, ha tradito il suo mandato nel momento del bisogno, abbandonando la nave e negando la propria negligenza fino all’inverosimile, proprio nella migliore tradizione dei ministri recalcitranti alle dimissioni e dei politici “a-propria-insaputa”. Ovvero negare la realtà fino all’indifendibile (e anche oltre).

Il capitano Schettino, insomma, è un colpevole ideale, un uomo che si consegna all’opinione pubblica armato solo della propria indifendibilità. Nell’ultima intervista prima dell’arresto, a Tgcom 24, di fronte a una domanda esplicita sulla sua fuga non si peritava di affermare sicuro, con aria cipigliosa e persino risentita: “Siamo stati gli ultimi ad abbandonare la nave!”. Pochi minuti dopo finiva in stato di fermo, subito dopo veniva giustamente torchiato dagli inquirenti, per mettere in discussione le sue balle.

La favola difensiva del comandante è l’eterna faccia della cialtroneria nazionale, “l’albertosordismo” che si incarna inverosimilmente nella realtà, senza perdere il tono a un tempo drammatico e caricaturale della migliore commedia all’italiana: al tormentone di “A me m’ha rovinato la guera!”, si sostituisce la nenia ridicola di “Lo scoglio non era segnalato sulle carte”, perché c’è sempre una forza maggiore che si invoca per liberarsi delle responsabilità personali ineludibili. L’ultima ipotesi investigativa formulata dalla Procura di Grosseto, se possibile, aumenta ancora di più il peso accusatorio che grava sulle spalle di Schettino, se è vero come sospettano gli inquirenti in queste ore, che persino il recupero della scatola nera fosse finalizzato alla sua possibile manipolazione.

Eppure, detto questo, non è solo la disonestà di un uomo che è in gioco oggi, ma qualcosa di più importante e di molto più delicato. Non può essere accettabile la favoletta dell’uomo solo al comando, del pazzo kamikaze che perde il controllo senza che nessun meccanismo di controllo sia attivato. Non possiamo accettarlo. Di fronte all’ordine di evacuazione della Capitaneria di Livorno, il comandante raccontava la balla dell’avaria e continuava imperterrito nel suo piano di occultazione della verità.

Ma l’alibi della catena di comando insindacabile e il delirio di “Guarda la tua isola!”, non ci sollevano dal problema della responsabilità ultima. Dobbiamo davvero accettare l’idea che nel tempo della “geolocalizzazione”, nessuna centrale di controllo, alla Costa Crociere, avesse idea di cosa stesse capitando? Nel tempo dei telefonini possiamo davvero pensare che nessuno a terra sapesse davvero cosa stava accadendo? Che per una lunga ora in cui non è stato dato l’allarme a nessuno sia venuto un solo dubbio? E la traiettoria finale della Concordia che finisce sugli scogli invece di essere evacuata si spiega solo con la logica dell’emergenza?

Come sempre in Italia, al cialtrone corrisponde l’eroe per caso, e al capitano che fugge, si oppone la bella figura del commissario di bordo, Manrico Giampedroni, che si fracassa la gamba per salvare i passeggeri. Eppure, nella catarsi consolatoria del capitano fuori di senno, qualcosa non torna: anche nelle forze armate, e persino in un teatro di guerra (è successo ad esempio in Kosovo) esiste sempre la possibilità di appellarsi alla polizia disciplinare se il comandante della missione mette a rischio i civili o i suoi soldati. Anche sotto la gerarchia ferrea di una divisa, l’ufficiale che si rifiuta di obbedire a un ordine insensato viene dispensato dall’obbligo dell’obbedienza assoluta e dal destino del tribunale militare. Persino se siamo dispersi nell’Atlantico con in tasca un iPhone siamo sempre tracciabili in tempo reale.

È curioso che chi ha abbandonato la sua nave durante le operazioni di soccorso, e che ha detto no a un invito a riprendere il proprio posto, si sia poi offerto volontario per recuperare la scatola nera. Ed è altrettanto sospetto il silenzio con cui la Costa Crociere che lo ha in qualche modo sostenuto fino all’ultimo momento utile, salvo scaricarlo solo quando ogni difesa è diventata insostenibile. Forse, fra qualche anno, scopriremo che Schettino in queste ore ha difeso qualcosa di più che se stesso. Forse, da questa tragedia impareremo che il capitano non può restare solo sul ponte della nave come nelle canzoni di De Gregori e che un meccanismo di controllo deve impedire che la responsabilità possa sfociare nell’arbitrio.

Scalfarendum

Scalfarendum Noi stimiamo Eugenio Scalfari, anche quando ci chiama “editorialisti qualunquisti, demagoghi” con “un disperato bisogno di ‘ audience ’ e quindi di avere sempre e comunque un nemico sul quale sparare. Prima avevano Berlusconi, adesso Monti e Napolitano. E anche il Pd”. Gradiremmo sapere da Scalfari quando mai abbiamo “sparato su Monti”, ma lo stimiamo lo stesso. E, proprio perché lo stimiamo, ci ha meravigliato leggere domenica su Repubblica queste sue parole: “I referendum elettorali andrebbero esclusi come lo sono quelli relativi ai trattati internazionali e alle leggi di imposta”. Ohibò, ci siamo detti: vuoi vedere che Scalfari la pensava così già vent’anni fa per gli altri due referendum elettorali, quelli promossi e vinti da Mario Segni il 9 giugno 1991 per la preferenza unica e il 18 aprile 1993 per l’uninominale al Senato? E invece, doppio ohibò: lo Scalfari di allora non andava proprio d’accordo con lo Scalfari di oggi. Anzi li sponsorizzò entrambi con gran trasporto contro l’odiato Caf (Craxi-Andreotti-Forlani). Nel ’ 91 cominciò attaccando (anzi, sparando su) Craxi che voleva il referendum per il presidenzialismo e sabotava quello elettorale: “Proprio quella parte che reclama a gran voce un referendum non previsto dalla Costituzione fa vibrata campagna contro la celebrazione di un referendum che la Costituzione invece prevede e che la Corte costituzionale ha dichiarato legittimo e ammissibile… Di una cosa c’è urgente bisogno in questo paese: di una nuova legge elettorale che dia alla maggioranza il diritto di governare e all’opposizione la possibilità di subentrarle… Questa è la Riforma. Il resto si chiama demagogia… Per bloccarla si ricorre alla gazzarra, al veto e alla minaccia di elezioni anticipate. E si usano le istituzioni contro le istituzioni” (la Repubblica, 26-5- ‘ 91). Poi il referendum fu vinto e Scalfari, invece di proporne l’abolizione, esultò: “Questo 10 giugno è un giorno di festa della democrazia repubblicana. Il risultato… è stato ottenuto dal popolo, non porta l’etichetta di nessun partito, non è stato fiancheggiato da nessuna delle grandi reti televisive anzi è stato ignorato e trattato come una fastidiosa perdita di tempo. È un grande fatto di democrazia… Il popolo si è riappropriato della politica… Questo è il fatto nuovo, al quale siamo lieti d’aver contribuito… 30 milioni di elettori… e 27 milioni di sì… Non saranno gli Azzeccagarbugli insediati nei vari palazzi a poterne diminuire la valenza politica. C’era un quesito referendario cui rispondere: riguardava la riforma della legge elettorale della quale i partiti discettano da anni senza cavare un ragno dal buco, paralizzandosi con continui veti incrociati. I promotori dei referendum ne avevano presentati tre, ben altrimenti efficaci se fossero stati messi in votazione. Essi avrebbero dato, se approvati, una spinta robusta verso una legge maggioritaria fondata su collegi uninominali, dove è più stretto il rapporto tra elettori ed eletti… La Corte costituzionale ha dichiarato inammissibili due di quei tre referendum e ne ha lasciato in piedi uno solo; ma il popolo ha molta più intelligenza e saggezza di quanto i finti democratici non gli attribuiscano: ha capito la posta in gioco e ha deciso di conseguenza… La grande maggioranza dei cittadini vuole cambiare la legge elettorale in senso maggioritario e uninominale… vuole decidere questi problemi da sola, visto che il Parlamento è paralizzato dalla partitocrazia. Questo è il voto che sale dal popolo sovrano” (11-6- ‘ 91). Ahiahiahi, avete capito bene: Scalfari criticava la Consulta che aveva bocciato due referendum elettorali su tre e diceva che, in materia elettorale, deve decidere il popolo e non il Parlamento. Infatti passava subito a sponsorizzare il referendum fissato per il ‘ 93. E auspicava che i partiti promotori dessero vita a una Lega Nazionale (“il partito che non c’è”) alle elezioni politiche del ’ 92.
Questa maggioranza è quella che pochi mesi fa votò il referendum di Segni contro l’espresso parere di Craxi e di Bossi… Ma bisogna che si manifesti e si faccia sentire, che si organizzi e si presenti al corpo elettorale. Bisogna insomma che nasca una Lega nazionale con un programma di riforme” (1-12- ‘ 91). “Una grande forza trasversale, come quella che ha vinto il referendum del 9 giugno e ha già dato un milione di firme per i referendum del ’ 93” (5-1- ‘ 92). Poi Scalfari avvertì la Consulta di guardarsi bene dal bocciare il referendum: “Può darsi che gli apparati riescano a bloccare la riforma… La scadenza referendaria è ormai alle porte, sempre che la Corte costituzionale non blocchi il referendum. Tutto è ancora possibile, ma sarebbe assai grave perché una dose supplementare di rabbia verrebbe inoculata nella cittadinanza. Speriamo vivamente che il Parlamento deliberi correttamente o che la Corte proclami il referendum. Se entrambe queste ipotesi fossero frustrate, la democrazia avrebbe perso una battaglia campale” (31-12- ‘ 92). Ahiahiahi, par di leggere gli editorialisti demagoghi di oggi: se la Corte boccia il referendum è una sconfitta per la democrazia. “Il referendum del 18 aprile segnerà il punto di svolta e tanto più numerosi saranno i ‘ sì ’ tanto più netta sarà la condanna e il taglio nel passato. Bisognerà poi fare la legge elettorale per la Camera… ma avremo comunque profondamente riformato il metodo di elezione del Senato e reso manifesta la volontà popolare… Per questo bisogna smascherare le insidiose manovre in corso che tendono… all’affossamento del referendum e alle elezioni anticipate con la vecchia legge proporzionale” (14-3- ‘ 93). Poi l’appello finale:”Fate attenzione, cittadini elettori: dal referendum di domani nascerà direttamente, dal vostro ’sì’, la nuova legge elettorale per il Senato. Nascerà direttamente dalle urne così come il 2 giugno ‘ 46 nacque la Repubblica… Avete già delegato troppe volte il vostro potere sovrano, ma questa volta non fatelo poiché sarebbe fatale alle sorti di un paese già molto traballante… Qui non è in gioco la sorte dei partiti; qui è in gioco un sistema che sarà poi la regola dei nostri comportamenti politici per gli anni a venire. Perciò Repubblica raccomanda ai suoi lettori di votare ‘ sì’” (17-4- ‘ 93). Il 18 aprile fu un nuovo plebiscito e Scalfari giustamente lo cavalcò con un filino di enfasi, neppure sfiorato dall’idea di abolire i referendum elettorali: “È stata una marcia trionfale… Il paese ha ritrovato in un voto quasi plebiscitario le ragioni della sua unità; il ‘ sì ’ ha superato tutti gli steccati, geografici, sociali e di fedeltà ai partiti; esso è diventato da ieri l’elemento fondante d’una nuova nazione, la fonte di legittimità d’una democrazia che aveva visto crollare quasi tutti i suoi ancoraggi ideologici e politici. Il popolo è saggio, sa capire e decodificare anche problemi apparentemente astrusi, bada al sodo, semplifica non per superficialità ma per profondità di giudizio… Il popolo voleva voltare pagina sugli ultimi vent’anni di malcostume, degrado, inefficienza, ruberie… Esprimendo questo voto, che configura una vera e propria legge per il Senato e indica nettamente l’orientamento per la Camera, essi hanno votato ancora una volta, come già avevano fatto il 9 giugno ‘ 91, per la liquidazione della vecchia nomenklatura e del regime partitocratico. L’uninominale maggioritario imporrà nuovi soggetti politici… e un rapporto diretto tra elettori ed eletti. Indicazioni cogenti, che non potranno essere disattese dal Parlamento” (20-4- ‘ 93). Chi l’avrebbe mai detto che 19 anni dopo lo stesso Scalfari avrebbe chiesto di abrogare i referendum elettorali, per appaltare la materia alle nomenklature del regime partitocratico. Qualche malpensante potrebbe insinuare che allora i referendum facessero comodo contro il Caf e Cossiga, mentre oggi disturberebbero Napolitano e Monti. Ma noi che stimiamo Scalfari non vogliamo nemmeno pensarci. Certo non vorremmo che Scalfari-2 sparasse su Scalfari-1 dandogli dell’ “editorialista qualunquista e demagogo con un disperato bisogno di ‘ audience ’ e quindi di un nemico su cui sparare sempre e comunque”. Questo no, sarebbe troppo. Marco Travaglio