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giovedì 8 settembre 2011

Cauto disappunto

Più passano i giorni e più cresce in noi la… Più passano i giorni e più cresce in noi la solidarietà con Giorgio Napolitano che, oltre al suo mestiere di presidente della Repubblica, deve fare pure il presidente del Consiglio al posto di quel pover’ometto che non ci sta più con la testa, nel senso che la tiene perennemente infilata fra le cosce di questa o quella e, nelle pause, è troppo impegnato a trovare il modo di nascondere quel che ha appena fatto o sta per rifare. L’altra sera, dopo un’intera giornata passata a leggere i bollettini dell’ennesima Caporetto in Borsa e a parlare con Draghi, Trichet e Merkel (che, non essendo mignotte, non trovano udienza a Palazzo Grazioli), il capo dello Stato ha diramato il “monito” numero 1834 in cui invitava i buffoni a riscrivere per la quinta volta la buffonata per renderla “più credibile”. Un modo carino per dire che la quarta versione era una barzelletta. L’ometto, che mancava da Roma da 23 giorni (giusto: che ci va a fare un premier nella Capitale nei giorni della crisi finanziaria più grave della storia?), s’è dovuto precipitare in loco per farsi dettare le modifiche “credibili”, hai visto mai che il nonnetto s’incazzasse davvero. Poi, visto che Al Fano, Frattini Dry e Schifani avevano categoricamente escluso la fiducia, ha posto la fiducia. A quel punto sono entrati in scena i quirinalisti, ai quali va una doppia solidarietà. Sono, costoro, dei moderni aruspici costretti ogni giorno a indovinare gli umori del Presidente (che essi chiamano rispettosamente “il Colle” per non nominarlo invano), ma a debita distanza, fuori dalla porta, senza potergli dare neppure una guardatina. L’altroieri dovevano riferire se “il Colle” fosse contento (e, se sì, quanto) della quinta buffonata. Come sempre, hanno interpellato i consiglieri del Presidente (ossequiosamente definiti “fonti del Quirinale”, manco le avesse scolpite il Bernini). I quali, per agevolarli, hanno diffuso la consueta “nota” informale e anonima, versione moderna degli antichi riti da cui Tiresia e i suoi emuli traevano i loro vaticinii, rovistando fra le interiora degli animali o, in tempi più recenti, compulsando i fondi di caffè. Accade però, talvolta, che il capo dello Stato non voglia far sapere se è contento o meno, o che i suoi consiglieri si facciano l’idea che lo sia mentre non lo è, oppure che i quirinalisti interpretino la nota nel senso che lo è mentre non lo è. Anche perché la nota somiglia all’oracolo della Sibilla: “Ibis… redibis… non… morieris… in bello” e vai a sapere se quel “non” si riferisce a “redibis” o a “morieris”. Dev’essere accaduto qualcosa del genere, l’altroieri. Il quirinalista di Libero descriveva la “soddisfazione del regista Napolitano”. Così pure quello del Giornale: “Il Colle fa sponda al governo. Il sollievo di Napolitano”. E, sorpresa, quello di Repubblica: “Napolitano osserva con una certa soddisfazione il prodotto del suo pressing”. Quelli della Stampa, al contrario, dipingevano un “Napolitano rammaricato per la fiducia sul testo”, non senza “la consapevolezza e la soddisfazione”, senza dimenticare un “malcelato disappunto” e “una certa circospezione”. Il Corriere invece riusciva a trovare il giusto mezzo fra soddisfazione e rammarico: “Il cauto sollievo del Quirinale”. Pare di vederlo, il Presidente, che si sveglia di buon mattino, riceve i consiglieri in pigiama e berretta da notte e, mentre intinge il bombolone nel caffelatte, lascia trasparire un’aria improntata alla cautela, velata però da un fremito di sollievo. I consiglieri, sottovoce, confabulano: “Oggi il capo mi pare soddisfatto e consapevole”. “A me sollevato e circospetto”. “Macché, ha la tipica faccia del malcelato rammarico”. “No, direi piuttosto cauto”. “A me sembra invece cautamente sollevato”. “Ma va là, non vedi che è disappuntamente rammaricato?”. A quel punto si rende necessario interrogare il fondo di caffelatte rimasto nella tazza. Segue, inappellabile, il responso: “Cauto sollievo”. E anche stavolta è andata.

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